L'amica geniale - uomini e donne nella saga di Elena Ferrante

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Mi ci sono voluti quasi due anni per arrivare alla conclusione della saga di L'amica geniale di Elena Ferrante.
Avevo letto il primo libro la scorsa estate e per un anno l'idea di leggere gli altri tre mi ha come perseguitato lungo i mesi e le stagioni, un tarlo continuo che solo gli impegni quotidiani che si sono moltiplicati in maniera esponenziale giorno per giorno, togliendomi tempo libero e la calma necessaria alla lettura, insieme a stupide questioni che mi hanno spinto verso altri pensieri, sono riusciti a tenere a bada fino a qualche settimana fa. Quando, munita dei tre volumi che mi mancavano, ho ripreso in mano la storia Lila e Lenù, della loro incredibile amicizia durata una vita e costellata di gioie e dolori, segreti malcelati e verità spietate, mariti, amanti, figli, libri, lotte, rivoluzioni mancate, miseria e ricchezza, amori e rancori, presenza ed assenza. 
Difficile riemergere da una lettura del genere, soprattutto se fatta tutta d'un fiato come nel mio caso, senza trascinarsi dietro un'immagine, un suono, un frammento, un'emozione, per giorni e giorni. So già che sentirò la mancanza del mondo di L'amica geniale per molto tempo, è una di quelle letture che inevitabilmente un po' ti cambiano o, perlomeno, danno uno scossone alla tua quotidianità, stimolando sentimenti ma soprattutto pensieri.

Senza soffermarmi troppo sulla storia poderosa e sulle straordinarie capacità di scrittrice della Ferrante, quello che più mi ha colpito leggendo i quattro libri "geniali" è la natura materica di personaggi, luoghi e atmosfere, la creazione di mondi e figure umane talmente realistiche e tangibili, al punto che sembra quasi possibile toccarli al solo allungare la mano. Chi conosce meglio di me la scrittura di Elena Ferrante saprà certamente quanto il corpo e l'universo femminile rivestano una grande importanza nella sua scrittura. E a dirla tutta, mentre la vita di Elena e Lila scorrono di pagina in pagina, ciò che più affascina e resta fermo nella memoria di lettore è di sicuro il loro confronto continuo, non solo mentale ma anche fisico, attento ai cambiamenti del corpo dell'una e dell'altra nelle varie fasi di vita, ma anche il loro rapportarsi con il mondo maschile, in un confronto nel confronto.

Gli uomini, nell'opera di Elena Ferrante, non ci fanno un gran bella figura a dirla tutta. Spesso nelle pagine dei suoi libri appaiono superficiali, violenti, vigliacchi, spacconi, bugiardi, incapaci, tesi a dimostrare un inutile ruolo di maschio alfa in una società che sempre più ne può fare a meno e, proprio per questo, il risultato è un essere disorientato che reagisce alla mancanza di effettivo potere nella vita della donna con violenza fisica, come nel caso di Stefano che cerca di farsi amare da Lila a suon di mazzate, e verbale come Nino, uomo vanesio che prende in giro non solo Lila ma soprattutto Elena, per anni, in un turbinio di frasi melliflue e parole d'amore pronunciate per continuare a mentire e amare solo se stesso. Persino gli uomini che appaiono parzialmente positivi - Enzo, Pietro, Antonio - in realtà incarnano una figura di uomo "mancante", difettoso: Enzo è un uomo tutto d'un pezzo che è meglio non far incazzare, un ottimo padre di famiglia e un uomo devoto alla donna amata, ma proprio per questo privo di personalità, si confonde sullo sfondo e non riesce ad affrontare la vita di petto come dovrebbe, nemmeno la donna che ama di fronte alla sua evidente dolorosa follia; Pietro è un uomo gentile e colto, il classico buon partito, ma che si dimostra, in barba a tutte le idee moderne e all'avanguardia sue e della sua famiglia, un uomo orgoglioso delle sue capacità e del suo lavoro, a suo modo maschilista, bisognoso di una compagna sufficientemente intelligente e colta per comprendere i suoi discorsi ma sostanzialmente muta e dipendente dal suo sapere.
Le loro caratteristiche al negativo si intravedono nei loro corpi, nel volto quadrato e impassibile di Enzo, nella figura di Stefano tratteggiata come un blocco opprimente, nel fisico pesante di Pietro, nel corpo esile e sfuggente di Nino.

La cartina tornasole di questa fisicità è il rapporto che si instaura tra uomo e donna e non solo, ma anche il modo in cui l'uomo appare allo stesso tempo controparte e parte mancante del corpo della donna. Elena e Lila vivono la loro femminilità in maniera diversa e con fasi alternate tra accettazione e rifiuto, considerandolo a volte arma, strumento, altre ancora come una condanna. Ciò che le accomuna è quel loro sguardo acuto e che non perdona, dai tratti maschili pur essendo estremamente femminile.
Elena è ossessionata dallo zoppicare della madre, lo vive come una premonizione verso un destino miserabile ed è un pensiero che le torna ogni volta che prova attrazione per un uomo, e la conduce a denigrarsi e non piacersi in barba a complimenti e approvazioni maschili. La percezione di inadeguatezza del suo corpo aumenta man mano che Elena cresce e il suo percorso formativo si fa più complesso e difficile. Dalla scuola elementare alle medie, già grande traguardo nel rione da cui lei e la sua amica provengono, fino al liceo e infine la Normale di Pisa, arrivando alla carriera di scrittrice, Elena sembra inoltrarsi in un mondo in cui il dominio appare ancora prettamente maschile (non è un caso se l'unica figura di educatrice donna citata è la sola professoressa Galliani) e questo si ripercuote sul suo percepire il suo corpo e non solo: Elena sceglie lo scudo di un corpo maschile e i suoi anni pisani saranno contrassegnati sopratutto dalla storia con due studenti, Franco e Pietro, destinato quest'ultimo a diventare poi suo marito. In modo diverso, i due uomini contribuiscono a plasmare la donna che Elena sarà dopo la laurea: Franco le farà scoprire il desiderio e la sfacciataggine del sesso, insieme al piacere che deriva da una mente libera e curiosa; Pietro alimenterà il suo intelletto e le darà le sembianze di una donna colta e raffinata adatta a essere ammessa all'interno della sua cerchia di politici e intellettuali.In questo osservarsi e formarsi attraverso uno sguardo maschile, l'unica isola di espressione del suo essere apertamente donna appare così la  maternità, che Elena vive tre volte in uno stato di beatitudine e gioia, felice di occupare finalmente un posto nel mondo universalmente accettato e senza nessuna controversia. Non è un caso che al parto solitamente segua per lei un periodo di depressione e ansie, un'angoscia esistenziale che trova sfogo in un altro tipo di gestazione, quella dei suoi libri, la cui creazione sarà ragione di essere per la donna anche dopo che le figlie sono divenute grandi, simulacro di quella fertilità femminile (fisica e intellettuale) di cui Elena si sente portatrice e che non si vergogna a manifestare.


Diversa è la reazione di Lila. La sua è fin da ragazzina una bellezza fiera e audace, che incute timore e sembra aggredire chi ne viene a contatto. Nel suo tentativo di affrontare un mondo governato da uomini, che decidono per lei e il suo destino (privandola dell'educazione a cui aspira e condannandola alla vita nel rione pur sapendo quanto le sue capacità siano sprecate) e la vedono come una bellezza da mostrare e conquistare, Lila trasforma il suo essere donna in qualcosa d'altro, uno strumento di vendetta e potere, affina la sua aggressività e forza, lo rende un passepartout per una condizione migliore ammaliando il più ricco del rione, sfodera la sua avvenenza ogni qual volta prova la sensazione di essere privata di qualcosa, oscurata da qualcuno - e per questo non si fa scrupoli a far innamorare e innamorarsi dell'unico uomo mai amato davvero dalla sua migliore amica. La sua forza e sfrontatezza arrivano a spogliarla di qualsiasi connotazione femminile finora assegnata a tutte le altre donne, la sua persona diventa così uno status, una condizione di essere che trascende i sessi e le posizioni sociali. Lila smette di essere una donna, perché è semplicemente Lila e come tale arriva ovunque, dove nessuna altra donna del rione è mai arrivata, diventando una chimera per alcuni (Michele Solara impazzisce letteralmente per lei) o un modello da emulare per esprimere se stessi (come nel caso del povero Antonio Carracci). Sarà probabilmente per questo che nel suo caso la maternità diventa un'esperienza dolorosa, vissuta come condizione deficitaria, debolezza che, riassegnandole un ruolo tradizionale e femminile per antonomasia, sembra minacciare la posizione faticosamente conquistata.

Il confronto finale, in questo meccanismo di riflessi e proiezioni, gioco di specchi che si ripercuote in una storia e un'amicizia che durano per quasi sessant'anni, è quello con la lettrice dei libri. Difficile immedesimarsi subito nelle due protagoniste: le loro posizioni appaiono sempre così estreme e totalizzanti al punto da escludere che chi legge possa riconoscersi più in una che nell'altra. Forse, a ben pensarci, è più probabile che l'immedesimazione avvenga considerando le due amiche come un unico, una sorta di Yin e Yang che dà origine a una totalità femminile in cui riconoscere se stesse proprio perché finiamo per vedere Lila e Lenù come parti di un corpo solo, una donna divisa in due metà e per questo alla sua continua ricerca. Probabilmente è qui che si trova il motivo di un'empatia profonda provata per le protagoniste, una partecipazione sentita e vitale alle loro vicende anche quando queste ci appaiono incomprensibili. Lina e Lenù non sono personaggi che si fanno amare a priori - e a dirla tutta la lettura dei quattro libri è un susseguirsi di delusioni e offese della lettrice verso queste due protagoniste che fanno e disfano di continuo, disattendendo aspettative e smentendo realtà - eppure questo succede ed è inevitabile. Succede perché, a dispetto di tutto, ci raccontano una condizione che ben conosciamo, pur non condividendo sempre principi e pensieri delle due protagoniste. Una condizione di ricerca ma anche di scoperta. Di consapevolezza del proprio essere, da rifiutare poi e tornare a cercare e reinventarsi, in un percorso di donna che è da sempre in continuo divenire.

Potrei dire molto altro sulla tetralogia di L'amica geniale, potrei dire ancora di più sulla scrittura carica, forte, inglobante di Elena Ferrante. Ma preferisco fermarmi qui, su questi spunti di riflessione che i suoi libri mi hanno regalato, forse l'essenza della sua storia, forse i cardini del suo pensiero o di quello di Elena e Lila, o semplicemente quello che, a distanza di settimane dalle ultime pagine lette, mi è rimasto impresso ed è destinato a non andarsene tanto facilmente.

Ma che belli i libri così.

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4 commenti

  1. Ho chiuso la tetralogia parecchio tempo fa e ancora oggi, quando guardo i 4 volumi lì sul mobile di casa, mi arriva tutta la forza atavica di questa storia. Non se ne va, Lila ed Elena restano in mente come ricordo, come riferimento, come pensiero, per sempre.
    Capita con pochi personaggi letterari.

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  2. io me la sono mangiata.
    ci ho messo due mesi per leggerli tutti e quattro... e nel mezzo ci ho messo due libri, perché mi faceva male il pensiero di dover lasciare Lenù e Lila...
    ancora adesso lo consiglio a spada tratta... a meno che non si sia a corto di lettura di Harry Potter, perché la Rowling, ci sa fare di più della Ferrante!

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  3. Che belli i libri così, e che belli i post così.
    Complimenti, hai scritto un articolo davvero interessante e, in generale, il tuo sembra davvero un blog.
    Ho letto solo i primi due romanzi della tetralogia - un paio d'anni fa, fra l'altro - ma sento il desiderio di riprenderli e di portare poi a compimento questa storia, per poter tirare le fila e concludere questo viaggio. Il tuo articolo ha senz'altro contribuito a quest'urgenza di terminare la storia.

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