The Get Down, la grande lezione di Netflix sulle serie dedicate al mondo della musica

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Ok, ammetto di essere tra quelli che avevano trovato Vynil una bomba (l'avevo anche scritto qui). Perlomeno il pilot di due ore, che ci aveva letteralmente affascinati e stupiti e ci aveva fatto sperare, anche quando gli episodi successivi si sono dimostrati di qualità nettamente inferiore, in uno sviluppo migliore della storia e una ripresa in grande stile della serie. Cosa che non sapremo mai, dato che la serie è stata cancellata dopo la prima stagione, per buona pace di Mick Jagger e Martin Scorsese. 
Tutta questa premessa perché a parlare di musica in questo caldo agosto ci ha pensato una nuova serie. The Get Down, produzione targata Netflix sulla nascita dell'hip hop nella New York di fine anni '70, ha qualcosa da insegnare a tutti - in prima battuta alla sottoscritta - su come si fa davvero una serie dedicata alla musica e come si racconta un universo complesso e articolato come quello di un genere musicale, della sua nascita ed evoluzione.
Una gran bella lezione e produzione - e questa volta posso dirlo avendo visto non solo il pilot ma tutti gli episodi finora usciti - che prevede al momento dodici episodi, i primi sei usciti ad agosto 2016, la seconda metà prevista per il 2017.



Siamo nel 1977 nel South Bronx. Criminalità, degrado e rivalità tra gang di mescolano a disco music, graffiti e desiderio di rivalsa verso una società che sembra non accorgersi di chi è rimasto indietro. In un'epoca in cui la febbre del sabato sera imperversa nei locali di tutta New York, qualcosa si sta muovendo tra le vie e le macerie del Bronx, il Get Down e un gruppo di ragazzi desiderosi di emergere e far brillare le loro capacità. In un periodo storico di grandi cambiamenti, assistiamo così alla nascita della cultura hip hop in tutte le sue declinazioni (rap, freestyle, breakdance, street art), attraverso le vicende di Ezekiel "Zeke" Figuero e i suoi amici, che sembrano destinati a grandi cose e a fare della musica lo strumento del loro riscatto da una società che li vuole già condannati a una vita senza regole e criminale.



Se le tematiche e l'ambientazione possono apparire tutt'altro che semplici - l'idea del ghetto e della criminalità giovanile, i politici corrotti, i quartieri degradati, la crisi economica e le difficoltà insite in una città cosmopolita ed eclettica come New York  - il tono e le atmosfere della serie sono su un altro registro. La direzione di Baz Luhrmann - regista di fama mondiale che non ha bisogno di presentazione, ma se qualcuno ha la memoria corta stiamo parlando del regista di Romeo + Juliet, Moulin Rouge e il più recente Il Grande Gatsby -  e di Stephen Adly Guirgis - sceneggiatore e regista per Broadway e Off Broadway (e scusate se è poco) - fa inevitabilmente la differenza, mostrando uno stile ricercato e attento nei dettagli, dalla scenografia alla fotografia ai costumi e alle scelte musicali (riadattamenti del livello delle migliori hit e partecipazioni speciali come quella di Christina Aguilera con la sua Telepathy), ma anche dando all'intera narrazione una struttura che in qualche modo ne alleggerisce i contenuti senza svalorizzarli e allo stesso tempo dandole vigore, attraverso le commistioni di genere con un veterano amore di Luhrmann, ovvero il musical.



Niente panico però: The Get Down non è assolutamente un musical in senso stretto, con improvvise interruzioni del racconto per momenti canterini e balletti scenografici che rischiano di distogliere l'attenzione. si tratta piuttosto di una traccia, un'impressione, dal musical Luhrmann prende la leggerezza, l'estrosità, la spettacolarizzazione della realtà rappresentata, dove anche i momenti più controversi si trasformano in episodi originali e sopra le righe, la rappresentazione corale che abbraccia personaggi e intrecci, trame e sotto-trame, guidando lo spettatore in quello che inizialmente sembra un caotico, colorato, rumoroso agglomerato umano verso le fila della storia e l'evoluzione dei protagonisti. E forse è in questo che The Get Down differisce da Vinyl e la supera: se la serie di HBO paga lo scotto di una presunzione, quella di voler ritrarre un universo e un'epoca con minuzia e un certo esibizionismo, e così facendo perde di vista ciò che alla fine conta davvero in una serie, ovvero la storia che c'è dietro il mondo che si vuole rappresentare, The Get Down riesce a mantenere saldo il legame con le vicende e personaggi, racchiudendo l'insieme di trame intersecate e sovrapposte tra loro in un'unita di tempo e di luogo (un anno preciso, un perimetro di città delimitato nel raggio di qualche chilometro) come su un palcoscenico. Lo straordinario impatto visivo e la ricercatezza formale, che rimangono comunque uno degli aspetti più interessanti e il vero tocco magico che porta la serie a un livello superiore, non soffocano quindi la narrazione, ma anzi la esaltano, le danno lo slancio per andare avanti, si fanno strumento al suo servizio per catalizzare l'attenzione dello spettatore, mantenendolo legato alla storia raccontata. Non solo forma ma anche sostanza, quindi, e il risultato di questa combinazione è assolutamente vincente.



Non bisogna dimenticare, però, il contributo fondamentale che arriva dal cast, composto da attori tutti molto bravi, in special modo i ragazzi, davvero talentuosi. Particolari note di merito vanno a Justice Smith nei panni del talentuoso e geniale paroliere "Zeke", il protagonista della serie, Jaden Smith che interpreta l'artista dei graffiti più belli del Bronx "Dizzee", Herizen F. Guardiola che presta la sua incredibile voce alla futura star della disco Mylene Cruz, lo Shaolin Fantastic interpretato da Shameik Moore e infine Jimmy Smits che ancora una volta riesce perfettamente nell'ennesimo ruolo latino che gli viene assegnato.



The Get Down è un prodotto esteticamente perfetto e ottimo dal punto di vista della scrittura (con gli inevitabili alti e bassi che una produzione del genere comporta), dal ritmo giusto e incalzante, fatto di rime spettacolari e sonorità coinvolgenti anche se a volte un po' datate (ascoltare la versione di Set Me Free per credere), e una portata visiva forte ed esaltante, che prende a prestito il meglio del teatro e del musical per raccontare una storia come finora non era mai stata raccontata. Il cast bravissimo e la carica dell'universo hip hop fanno poi il resto. Dopo Stranger Things, The Get Down è la seconda bomba prodotta da Netflix, vincitore assoluto di questa estate.

È ora di alzare il volume e scendere in pista.

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4 commenti

  1. Al momento ho appena iniziato Sons of Anarchy, ma appena la finisco questa è la prossima serie!

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  2. Ho guardato solo la prima puntata al momento, non ho avuto molto tempo. Devo dire che la musica in questa serie è proprio strettamente legata alla narrazione. Effettivamente come dici tu, ci sono dei richiami al musical che però non sono messi a caso, o quelle scenette in cui tutti cantano di punto in bianco. Ho però l'impressione che sia una serie da seguire in lingua originale. Non sono un fermo sostenitore del "DEVI vederlo in inglese o ti muore il pesce rosso", però qui credo si perda molto in italiano.
    Baci!

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  3. Netflix quest'anno domina!

    Io avevo trovato una bomba anche Vinyl nel suo complesso, non solo per il pilot, e con The Get Down mi sono rigasato di nuovo con il sound 70s.

    Ho apprezzato molto il fatto che sia una serie musicale e non musical e i suoi toni leggeri. Anche se nella seconda parte un po' di drama in più potrebbe non guastare. Aspettiamo fiduciosi... ;)

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  4. Mi ispira un sacco! Devo registrarmi a Netflix già per vedere una mamma per amica:)

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