Cari amici blogger
questo post avrà il sapore dolce amaro di chi ha trovato un porto caldo e sicuro dove rifugiarsi ma ripensa a quanto a volte il destino gli pare avverso e il futuro quanto mai oscuro.
Qualche settimana fa vi scrivevo entusiasta della mia partenza per Bristol, UK. Ero spaventata, insicura, ma felice della nuova esperienza.
Quante illusioni crollate…
Al mio arrivo mi rendo conto subito che qualcosa non va. La casa, microscopica, era sudicia, messy, come se ci fosse stato lo scoppio di una bomba dentro…la camera promessami era più o meno uno sgabuzzino e non c’era quel bagno privato di cui avevo sentito una volta parlare…ma “Ok – mi sono detta – non importa, se le cose con loro vanno bene posso tranquillamente condividere un bagno…non p certo una novità per me…” Il girono dopo mi rendo conto che le cose non andranno affatto bene. Non hanno lavastoviglie. La cucina cade a pezzi. E quella sera stessa lei mi mette a lavare una montagna di piatti (in cui non c’erano solo quelli della nostra cena ma anche die suoi pasti precedenti lasciati a marcire dentro) con la scusa di andare a prendere i bimbi che erano stati dal padre per il weekend. Ok. Laviamo i piatti. Domani è lunedì le cose miglioreranno.
Lunedì le cose sono andate peggio. “Just tidying up…and dusting” mi dice lei dopo aver stravotlo il bagno, lasciato mille piatti e tazze in giro per casa, dopo che i bambini avevano versato latte a terra ridendomi in faccia e lanciatomi scarpe addosso perchè non trovavano il apio che dicevano loro. Altro che mettere a posto o spolverare. Lì c’era lavoro per una ditta di pulizie. Mi sono me all’opera, fiduciosa del fatto che una volta fatto questo i giorni seguenti sarebbero stati solo manutenzione. Illusa.
Dopo una mattinata intera passata a spolverare, pulire, raccogliere cose lasciate in giro per i 4 piani della casa, underwear e towels inclusi che neanche al Grand Hotel, passato l’aspirapolvere, fatto lavatrici, stirato, pulito cucina, corro a prendere i bambini che hanno la scuola a mezz’ora da casa. Non facciamo a tempo ad arrivare a casa che mi accorgo che la madre è tornata a casa e ha già vanificato il mio lavoro: piatti sporchi nel lavello, scarpe ovunque, tazze di caffè in soggiorno…
E’ andata avanti così ogni giorno. Pulivo e alle 4 era già tutto un disastro. La madre piuttosto che togliersi davanti le sue cose, le lasciava in giro aspettandosi che io le raccogliessi tutto, dalla spazzola per i capelli lasciata in camera da letto alle mutande lasciate sul termosifone del bagno. I bambini sono casinisti,a questo ero preparata e non mi dava certo fastidio raccogliere le loro cose o fare i loro letti…ma sentire la bambina grande dire al fratellino, che stava raccogliendo i suoi lego, in mia presenza “Cosa fai! Tanto c’è lei che raccoglie per noi!” mi ha profondamente ferito.
Mi sono sentita una colf. Non una ragazza alla pari, arrivata lì per dare una mano come una sorella maggiore, che gioca con i bimbi, li aiuta se hanno bisogno o dà una mano in casa alla mamma. Io lì gestivo una casa per delle scimmie. Mi guardavano e mi trattavano come la loro cameriera. La sera a cena era normale, finito il pasto, lasciare piatti e pentole in giro e aspettare che io lavassi e pulissi tutto. “Ho sempre fatto così con le altre au pair: io cucino e tu lavi i piatti” mi disse lei i primi giorni aprendo una confezione di cibo precotto da mettere nel microwave. Si, tu cucini, certo…se avrò fatto un pasto cotto davvero da lei una volta a settimana posso reputarmi fortunata.
Magari qualcuno di voi potrà dirmi che in fondo non ero in miniera, E in effetti non lo ero. Ma non era il lavoro in sé a disturbarmi (sebbene non riuscissi a capire come fosse possibile che fossi capitata nell’unica famiglia inglese senza lavastoviglie o asciugatrice, ma porc…!) ma il loro atteggiamento nei miei confronti, il mio farmi sentire alle loro dipendenze sempre, ogni ora del giorno e della notte. La au pair dovrebbe lavorare 5/6 ore al giorno. Io mi alzavo alle 7, iniziavo a lavorare alle 8 e finivo, tra una cosa all’altra, alle 9 di sera.
Ovviamente le interazioni con il mondo si sono ridotte al minimo. Del corso d’inglese che volevo fare non avrei saputo proprio dove inserirlo. Tramite la vecchia au pair ho conosciuto una ragazza con cui sono uscita un paio di volte. Ma lei se la godeva la vita. Io non riuscivo neanche a godermele quelle ore libere: in settimana non potevo fare tardi altrimenti chi si sarebbe svegliato presto, dato che io mi svegliavo alle 7 ma loro cominciavano a fare rumore e soprattutto a gridare (gridavano sempre, sempre!) dalle 6 / 6 e mezzo del mattino, e nei miei gironi off, liberi solo per modo di dire perchè se mi acchiappavano mi chiedevano sempre qualcosa, ero così sfatta che avrei voluto solo dormire per dieci ore. Ho conosciuto anche qualche au pair. E vedere loro felici della sistemazione che avevano, dei loro bambini che non tentavano di accoltellarti (è successo anche questo) o non ti chiamavano “loser!”, delle famiglie che le rispettavano e non si aspettavano che loro fossero lì a fare le pulizie di primavera ogni giorno…sentire loro felici mi faceva stare peggio.
Che dire….mi sono svegliata qualche mattina fa e ho detto (mentre loro si urlavano cose da dietro al mia porta) “Stop! Io me ne torno a casa!” Ho prenotato il biglietto e me ne sono tornata. Martedì ho fatto ritorno in Italia ed è stata la prima volta che ero così felice di rivedere il suolo patrio.
Ora sono a casa del mio boyfriend, a riprendermi e a pensare a questa avventura come non solo ennesima prova della mi sfiga ma anche come a una sconfitta. Ero in UK per migliorare il mio inglese. In 20 giorni credo di non aver migliorato quasi niente. Certo ora capisco meglio e non mi vergogno a parlare, ma faccio schifo uguale anche perchè ho parlato con così poca gente…non mi ero mai sentita così sola come in questi ultimi giorni…
Ora sto cercando di capire cosa fare…progetti Leonardo a cui mando domande, continuo a guardare le famiglie che cercano au pair…non voglio rinunciare alla mia esperienza all’estero ma ora ho una paura nuova, un’insicurezza più grande e una visione del futuro più pessimista…
Good job, Sabina, davvero un buon lavoro…
Note positive: ho finalmente visto gli inglesi nella loro intimità e quotidianità. Cosa mangiamo, come dormono, dove vivono, come vivono…e devo essere sincera, mi stanno ancora più antipatici di prima…ma se non altro ora ne ho maggiore consapevolezza…
A proposito di Bristol, nel prossimo post, magari più allegro di questo, ve ne parlerò come una turista, che alla fine ero visto il tempo limitato della mia permanenza, troppo breve per considerarmi davvero una “bristolian”..
See you soon…bye!