Fragola al cinema: Youth – La Giovinezza

by - 20:05



Ci vuole un po' per riemergere dalla visione di Youth - La giovinezza, l’ultimo film di Paolo Sorrentino. Occorre prendersi del tempo, per risalire in superficie dal mare di sensazioni, emozioni e bellezza e per mettere ordine ai propri pensieri, tra gli strati molteplici di un film multiforme. Perché è inevitabile rimanere sopraffatti da Youth, un film dalla disarmante bellezza, di certo, ma che sa andare oltre le sovrastrutture estetiche e baroccheggianti per un racconto di più ampio respiro e contenuto sulla vita e la morte, l’amore e la passione, l’arte e il desiderio, la vecchiaia e quella gioventù tanto decantata, cercata, vissuta, rimpianta, incompresa, respinta, amata. Un cast notevole, da Michael Caine a Harvey Keitel a Paul Dano, corona uno dei film migliori di Paolo Sorrentino, dove la sua poetica ne esce accresciuta, matura, ispessita da un contenuto che fa il paio con la forma, e che regala sentimenti di struggente meraviglia e momenti indimenticabili.





Titolo: Youth- La Giovinezza
Regia: Paolo Sorrentino
Anno: 2015
Paese: USA
Cast: Michael Caine, Harvey Keitel,
Paul Dano, Rachel Weisz











In una esclusivo albergo circondato dalle Alpi svizzere, si rifugia Fred Ballinger (Michael Caine), un direttore d’orchestra famoso in tutto il mondo che da qualche anno si è ritirato dalle scene e, in qualche modo, anche dalla vita. A fargli compagnia nel suo soggiorno l’amico di sempre Mick Boyle (Harvey Keitel), regista di lungo corso che a differenza dell’amico non è ancora deciso a farsi da parte ed è lì con tutti i suoi giovani collaboratori per scrivere quello che a suo parere sarà il film della sua vita, quello per cui verrà ricordato su tutto, sebbene non riesca ancora a trovargli un giusto finale. I due amici trascorrono così le giornate tra passeggiate e ricordi di giovinezza, osservando le tribolazioni dei figli e di coloro che sono ancora “giovani” e che hanno ancora parecchi anni davanti e un tempo per amare, perdere, vincere, sbagliare, imparare che a loro ormai non è più dato. Gli eventi assumono una piega inattesa quando Ballinger viene invitato a tornare a dirigere in onore della Regina d’Inghilterra e il direttore d’orchestra si troverà così ad affrontare sentimenti che a lungo aveva messo da parte, incapace di dar loro la giusta collocazione nella sua vita che crede quasi giunta all’epilogo.

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Youth è un film che si dispiega lentamente, senza fretta, paziente, seguendo il ritmo di chi non ha più bisogno di rincorrere il tempo convinto di averlo ormai raggiunto ed è così che vengono sciorinati tutti gli interrogativi contenuti nella pellicola. Si parla di giovinezza, come il titolo stesso suggerisce, ma non solo, e il discorso, attraverso le lunghe conversazioni tra i due amici artisti e con gli altri ospiti della struttura, tocca argomenti molto cari alla filmografia di Sorrentino e che abbiamo già intravisto nella Grande Bellezza: la vita e il senso che proviamo a darle, il tempo che scorre inesorabile, la bellezza e il suo essere effimera e sfuggente, l’amore e i sentimenti dettati dall’umana natura, il desiderio, la morte, l’arte come espressione del proprio sé, la giovinezza e la vecchiaia in un confronto continuo, nel tentativo che l’una arricchisca l’altra di senso e viceversa. Se Jep Gambardella osservava il mondo in modo disincantato e quasi canzonatorio, qui Fred Balinger ha uno sguardo più benevolo e malinconico, come un rimpianto dolce e quasi divertito da un affannarsi che lui non sa più spiegarsi ma di cui sente inevitabilmente la mancanza. Senza La Grande Bellezza, probabilmente questo film non ci sarebbe potuto essere e, in qualche modo, Youth ne è una derivazione, un figlio che sorprendentemente riesce a superare il suo predecessore. Perché in Youth c’è davvero molta più bellezza che nella Grande Bellezza.

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Una bellezza dai tratti poetici e tendente alla sublimazione, che rientra in un percorso estetico da sempre teso alla perfezione e all’estetismo più puro e fino a se stesso, forse uno dei “difetti”  maggiormente imputati al cinema di Sorrentino. Eppure, a ben guardare, la bellezza di Youth raggiunge uno spessore e un valore che neanche La grande bellezza aveva saputo toccare. Senza stare qui ad analizzare inutilmente i pregi di una ricerca stilistica da vero artista del cinema, tra una fotografia che lascia senza parole (opera di Luca Bigazzi) accompagnata da una colonna sonora che strugge ed emoziona per a quale dobbiamo ringraziare David Lang, l’estetismo di Sorrentino qui decide di andare più a fondo, non solo facendo bella scena di sé, ma divenendo strumento e tramite di un messaggio che è una strabiliante ode alla vita. Se nella Grande Bellezza abbiamo avuto il sensore che alcune scene fossero state sapientemente costruite con il preciso scopo di stupire e lasciarci attoniti di fronte a tanta beltà, in Youth tutto sembra essere connesso, ogni scena, anche la più onirica e surreale, pare avere un senso preciso e un ruolo specifico nel processo del film e nel percorso che i singoli protagonisti compiono.

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Fred e Mick osservano il mondo da una posizione che è solo apparentemente privilegiata. Lo sguardo accondiscendente che riservano ai figli o agli ospiti più giovani del prestigioso centro benessere sono in fondo una maschera, sotto cui nascondere sentimenti come la paura, l’insicurezza – che pare non abbandonarci neppure a veneranda età – e un’insospettabile invidia. Un timore reverenziale per quella giovinezza ormai perduta, sinonimo sì di drammi, incertezze, tormenti e di una ricerca della felicità che non sembra avere mai fine, ma anche orgogliosa, sprezzante, visionaria, energica, coraggiosa di accettare la vita e tutto ciò che essa comporta, di una bellezza che trova espressione nei corpi ancora non corrotti e freschi degli ospiti del centro, in particolare in quello di Miss Universo (Madalina Ghenea), che rappresenta la bellezza della giovinezza in tutto il suo splendore e di fronte a cui i due uomini restano attoniti e in contemplazione. Le reazioni arrivano a dividere gli amici di sempre. Fred, che ha deciso di allontanarsi dal quel teatro che è la vita e da ciò che ama davvero, quella musica che lui porta in superficie solo nelle sue sessioni d’orchestra nei pascoli dalla natura rigogliosa, perché si crede troppo vecchio e ormai pronto ad attendere placidamente la morte, decide infine di tornare al suo più grande amore, a dispetto delle sofferenze che un tale sentimento comporta ma che fanno d’altronde parte della sua magia. A scuotere l’apatia che gli fa da corazza è, proprio il confronto, diretto e crudele, con la morte che credeva di essere pronto ad accogliere: Mike, di fronte all’ineluttabilità del tempo che scorre, non riesce come Fred ad accettarne le conseguenze, si accorge di averne abbastanza di quel mondo e che la fede all’arte a cui ha consacrato la sua esistenza non basta più. Decide di suicidarsi e di arrendersi, lasciando a Fred un lascito oneroso ma anche la forza necessaria a superare ogni paura e tornare ad abbracciare la vita e quegli anni, forse non più verdi ma altrettanto meritevoli di essere vissuti, che il tempo ha deciso ancora di concedergli.


Attorno a loro, il brusio e l’incessante movimento dei “giovani” del film, a rappresentare il diverso sentire delle nuove generazioni. La figlia di Balinger, Lena (Rachel Weisz), si ritrova a soffrire un conflitto sentimentale e interiore generato da un matrimonio fallito, a manifestare la difficoltà dei rapporti e delle relazioni umane dei nostri tempi, fatte di incertezze e fragilità dettate da una società che non ti rende capace di amare prima te stesso per poter accettare di condividere le proprie esperienze di vita con qualcun altro, dove siamo troppo concentrati sulle singole miserie per capire davvero i motivi che portano alla fine di una storia. La paura più grande è quella non solo di amare, ma di lasciarsi andare affidandosi a qualcuno che non siamo noi e non è un caso che Lena riesca a superare la fine di un matrimonio e tornare ad amare solo accettando i propri limiti e imparando a fidarsi di un timido ma intraprendente scalatore, sempre pronto a sostenerla tanto ad alta quota quanto nella vita. Intanto, il giovane attore Jimmy Tree (Paul Dano) cerca di trovare l’ispirazione per il suo nuovo personaggio, nel tentativo di scalciare dai ricordi del pubblico il suo personaggio più famoso e popolare che lui ha imparato a odiare. “Uno si crede incompleto ed è soltanto giovane” scriveva Calvino e il personaggio di Jimmy Tree interpreta al meglio tale definizione di gioventù: in attesa di interpretare il suo personaggio più importante e controverso, l’attore si dimostra inizialmente in piena crisi esistenziale, inibito dalla paura di rimanere incastrato dietro a quella singola maschera a cui pure deve la sua fama e dal timore di non essere quella promessa del cinema che tutti hanno paventato, e occorrerà prendere una decisione radicale e travestirsi da uno dei mali dell’umanità, in una delle scene più impattanti del film, per ritrovare la strada verso la definizione della propria identità, fatta delle nostre azioni e dalle nostre opere, nella speranza che queste possano salvarci da un’esistenza altrimenti priva di senso. Il suo percorso esemplifica al meglio il concetto dell’inestinguibile giovinezza dell’arte, che sta tutta nel suo incessante tentativo di mostrarci la meraviglia delle cose e di raccontare il desiderio e l’emozione, persino in mezzo a ciò che noi giudichiamo con orrore. Nell’arte come nella vita, il segreto della vera giovinezza sta nella leggerezza insita nella libertà dalla paura, dai ricordi e dai bilanci, racchiusa in un presente che raggiunge il piacere perdendosi nell’autentica bellezza di un’opera, di un semplice gesto o dei piccoli essenziali valori di cui la vita si compone.

SET DEL FILM "LA GIOVINEZZA" DI PAOLO SORRENTINO.<br />NELLA FOTO  PAUL DANO E EMILIA JONES.<br />FOTO DI GIANNI FIORITO

Youth è un film intimo, riflessivo, ma anche straordinariamente potente, merito anche di un cast da outstanding. Michael Caine è ineccepibile e lascia senza parole, affiancato da Harvey Keithel perfettamente nella parte, creando dei duetti notevoli e deliziosamente ironici. Molto brava Rachel Weisz e bravissimo Paul Dano, in un’interpretazione intrigante e magnetica che resiste molto bene al confronto con i pezzi da novanta. Le loro interpretazioni completano e arricchiscono un film che sa incantare con geometrie fluide che lasciano spazio all’estro e all’arte, una pellicola di classe che coniuga la tecnica alla poesia, generando bellezza e sublimando ciò che nella vita ci appare semplice e addirittura troppo amaro per poterne trovare un minimo piacere. Una lunga riflessione dai livelli multipli, che lascia sopraffatti ma sa regalare quelle emozioni basilari ma umanissime che Sorrentino, con il suo linguaggio immaginifico e visionario, ci rivela essere tutto ciò che conta davvero.

VOTO: 9

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4 commenti

  1. Ho letto recensioni non positive di questo film.

    Buona giornata!

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  2. non sono ancora riuscito a vederlo, e la cosa mi innervosisce alquanto...
    ma sopperirò assolutamente a questa mancanza!
    devo devo devo

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  3. anche io l'ho amato tantissimo! il mio fidanzato un po' meno...ehehehe Beh non avrei saputo descriverlo meglio, spesso quando mi piacciono le cose le parole si ingarbugliano tra loro ed esce il più delle volte un minestrone e un grumo di emozioni e di impressioni. Bella recensione! La grande bellezza non l'ho visto ma a questo punto credo che lo guarderò.

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